I momenti di soddisfazione.

I momenti di soddisfazione sono pochi, rari, ma arrivano. Distrattamente, svogliatamente, ma arrivano. Fortunatamente, oppure no, è una delle certezze della vita.
Ora che ci penso, quando è stata l’ultima volta che mi sono sentita soddisfatta?

Ero andata con Sergio a raccogliere sassi luminosi lungo la spiaggia, sapete no?, di quelli fatti perlopiù in vetro che l’acqua del mare corrode col tempo e col sale, e che quando tornano a toccare terra sono talmente levigati da sembrare gemme preziose.
Mia madre le chiamava ‘’lacrime del mare’’.
Si, quel giorno ero molto soddisfatta! Mi era capitata una di quelle lacrime dal colore particolare, non verde o trasparente o ‘color can che fugge’, ma blu turchese. Ora dovete sapere una cosa, io sono un’ambientalista, una di quelle persone definite ‘’verdi’’, ma non sono vegetariana, non ho l’orticello a casa, non sono iscritta a qualche associazione no profit, semplicemente cerco di avere una corretta alimentazione, cerco di prestare attenzione a tematiche delicate, anche partecipando a qualche manifestazione, quando ne organizzano qualcuna di quelle serie, e,soprattutto, facendo volontariato in cause ambientali. Mi è capitato diverse volte di aiutare ad accudire degli animali, di pulire le strade da rifiuti tossici ed altre cose ancora; stavolta ero stata coinvolta nella pulizia delle spiagge. Questa era una spiaggetta piccola, relativamente isolata dal resto della città.
<<La smetti di pensare a quei sassi? Gradirei un po’ di aiuto!>>
<<Oh, dai! Alcune sono così belle! Questa blu la terrò, a mia madre piacerebbe molto.>>
Avevo sempre avuto un pessimo rapporto con mia madre: lei non approvava quello che facevo, mi ripeteva che stavo solo perdendo tempo lasciando che la mia vita passasse inutilmente in attività stupide. Forse, ripeto FORSE, eravamo quasi arrivate ad odiarci. Poco male: me n’ero andata di casa prima che potesse succedere.
Tornando alle pietruzze, se non si fosse trattato di spazzatura destinata al riciclaggio, mi sarebbe dispiaciuto che fossero andate perse tutte quelle ‘’lacrime’’…

<<E comunque io ti sto aiutando: se non togliessi dalla tua strada questi pezzettini, poi avresti difficoltà a separarli dai rifiuti più grandi.>>
<<Si, peccato che li stia prendendo tutti io, i rifiuti più grandi!>>
Ricordo di avergli fatto una linguaccia e alla fine ci siamo messi a ridere. Io e Sergio non siamo fidanzati o cose così, ci siamo conosciuti facendo queste attività. Siamo entrambi un carattere chiuso e ci è voluto un po’ che diventassimo amici. Poi mi disse di essere gay e l’imbarazzo si sgretolò definitivamente.
Le persone attorno a noi stavano svolgendo il nostro stesso lavoro, noi continuavamo a fare quello che stavamo facendo, punzecchiandoci a vicenda. In realtà la questione era molto più seria di quanto tutti dessero a vedere: la spiaggia che stavamo pulendo, illecitamente, senza alcun permesso, in una qualche forma di protesta, era sotto il controllo di un clan mafioso, che la usava come posto sicuro per buttarci (o nasconderci) qualsiasi tipo di cosa, rifiuti e non. Ridevamo e scherzavamo, ma nervosamente, sapendo che si trattava di una cosa grossa.
<<Anna, tu dici che sarà tutto tranquillo? L’ ultima volta che abbiamo protestato contro la famiglia ***** ci avevano praticamente promesso che alla prossima bravata ci avrebbero tolti tutti di mezzo…>>
<<Ehi, sta’ calmo. Non ci è mai capitato nulla, non ci capiterà proprio adesso. Il sindaco non può permettersi una strage in campagna elettorale!>> Risi. Sergio, però, non mi seguì nella risata.
<<Che ti prende? Sono seria: andrà tutto normalmente.>>
In quel momento mi resi conto che non stava guardando me, ma un punto oltre le mie spalle: un gruppo di macchine corazzate si era fermato a circa sessanta metri da noi, le persone che ne scesero erano tutte col una maschera antigas, ed erano armati.
Qualcuno dei nostri gridò <<TUTTI A TERRA!>>, e noi, presi dal panico, iniziammo a correre e a metterci al riparo. Non potevamo sapere che non sarebbe servito a niente: bombolette, si, bombolette che si schiantano tra la sabbia facendo uscire qualche strano gas. Vedo Sergio perdere i sensi. Istintivamente mi metto parte della maglia sopra bocca e naso, ho giusto il tempo di digitare il numero del pronto soccorso. ‘’Per favore, arrivate presto…’’
Già, ora mi sono ricordata tutto. Mi trovo in un letto di ospedale. Mi sento malissimo, ho tubetti e tubicini su ogni vena visibile. Sulla porta della stanza scorgo mia madre, sembra triste, ‘’ha pianto?’’, ha gli occhi gonfi e lucidi e sta gesticolando disperata vicino ad un camice bianco fuori dal mio campo visivo. Torna affianco a me, si inginocchia e mette la testa sul mio torace. Sta piangendo, e io continuo a sentirmi sempre più male. Vorrei chiederle cosa è successo, dove sono gli altri, dov’è Sergio, ma non ci riesco: sento la bocca secca e la lingua ridotta a un tappo di sughero.
Con mia sorpresa, mi accorgo di stringere ancora in pugno il sasso color turchese: apro la mano in un gesto meccanico e mia madre alza la testa per guardarmi. Sono sveglia, ma la sua faccia non è contenta: il suo falso sorriso mi fa capire che ha per me solo brutte notizie, e io posso tranquillamente immaginarle da sola.
Le porgo la pietruzza ben levigata. Lei la prende, sconsolata, e il suo volto è l’ultima cosa che vedo prima di addormentarmi.
Ero così soddisfatta di averla trovata, sapevo che le sarebbe piaciuta.

_________________________ Beatrice.

2 comments

Lascia un commento